19 Feb Come si affronta una piaga biblica?
Qualche considerazione sugli impatti che stanno avendo gli sciami di locuste nell’Africa orientale sulla biodiversità e sul nostro mondo
di Roberto Battiston
Schistocerca gregaria by Roberto Battiston
Immagina per un attimo di appartenere a quella categoria di persone solitarie, poco sociali, che preferiscono mandare una mail piuttosto che telefonare, una serata con un buon film ad un aperitivo coi colleghi e i silenzi della montagna alle spiagge affollate. Poi, all’improvviso, qualcosa dentro di te cambia: inizi ad andare ai concerti, le cene con gli amici e apri un profilo Instagram da 5.000 follower. Questo è più o meno quello che succede dentro una locusta del deserto (Schistocerca gregaria) quando passa dalla fase solitaria a quella appunto gregaria, in cui genera sciami di centinaia di migliaia di individui e diventa un flagello biblico.
Il cambiamento di fase delle locuste è sempre stato uno dei più grandi enigmi dell’entomologia che recentemente ha trovato le sue basi fisiologiche e comportamentali con una grande quantità di studi scientifici che cercano di comprendere, gestire, ma soprattutto prevenire il formarsi di quei grandi sciami in gradi di divorare tonnellate di piante ogni giorno. Molte tessere di questo mistero, tuttavia, non sono ancora state svelate.
Quella delle locuste è una piaga che fin dalle epoche storiche ha flagellato l’agricoltura, la mitologia e la cultura della nostra specie. E a buona ragione. Una volta che lo sciame si forma e prende il volo può letteralmente oscurare il cielo, spostarsi anche di 150 km al giorno e trasformare campagne in deserti. L’attività delle locuste del deserto è di tale portata da cambiare la geografia dei luoghi che attraversa: costringendo villaggi a spostarsi ed esponendo i suoli privi di copertura vegetale all’erosione, modificandone l’aspetto e la funzionalità.
In questi giorni si sta verificando in Africa orientale una delle più devastanti pullulazioni di locuste degli ultimi decenni, che sta giustamente attirando l’attenzione di tutti i principali media del pianeta (vedi ad esempio: National Geographic, Times, BBC), per le sue possibili implicazioni.
Il direttore generale della FAO Qu Dongyu l’ha definita una “crisi di portata internazionale che minaccia la sicurezza alimentare dell’intera sottoregione africana”. Ogni chilometro quadrato di locuste in uno sciame, riporta sempre la FAO, può mangiare in un giorno come 35 mila persone. Per dare un’idea delle dimensioni del problema, uno sciame di locuste visto in questi giorni in Kenya si estendeva per 2.400 chilometri quadrati. Le Nazioni Unite hanno chiesto alla comunità internazionale fondi per 76 milioni di dollari per far fronte all’emergenza e gli scenari che abbiamo davanti sono tutt’altro che incoraggianti.
Schistocerca gregaria by Roberto Battiston
Non esistono soluzioni indolore contro gli sciami di locuste. E’ possibile limitarne lo sviluppo con agenti microbiologici (virus, batteri, funghi, ecc.) che però hanno un’azione lenta e hanno ripercussioni poi sulle esportazioni agricole che devono sottostare a pesanti quarantene. Possono essere utilizzate trappole feromoniche a bassissimo impatto e molto selettive, ma dall’efficacia ridotta e tempistiche poco affidabili. L’unica arma davvero efficace per combattere una crisi in corso è l’irrorazione di grandi quantità di pesticidi tramite aeroplani, con problemi non indifferenti per la biodiversità locale. In Kenya alcuni velivoli sono già attivi e in Uganda si stanno impiegando le truppe dell’esercito per irrorare gli insetti via terra.
Le conseguenze sull’ambiente naturale e la biodiversità africana di queste operazioni sono tutt’altro che semplici da prevedere. Se da un lato l’irrorazione aerea di pesticidi concentrati a matrice oleosa (solitamente utilizzati in aree caratterizzate da scarsità d’acqua) può rappresentare una minaccia anche per tutto il resto della microfauna africana, dall’altro ha un impatto sicuramente inferiore delle irrorazioni disorganizzate e rimedi “fai da te”, che già sono corso in molte aree da parte degli agricoltori disperati.
Un non-intervento, d’altra parte, porterebbe a conseguenze altrettanto disastrose: non solo le locuste danneggerebbero comunque l’ecosistema utilizzato dagli altri animali, ma creerebbero anche condizioni di instabilità politica e sociale.
Numerosi studi hanno dimostrato la correlazione tra situazioni di estrema povertà e perdita di biodiversità: dove si deve scegliere se salvare l’uomo o l’ambiente la priorità cade sempre sul primo. La perdita dei raccolti alimenterebbe i fenomeni migratori degli agricoltori, creando ulteriore instabilità in altre regioni. Da un problema ambientale si potrebbe arrivare ad uno geopolitico, in un momento storico già critico da questo punto di vista.
Non esistono insomma soluzioni semplici ad un problema così complesso e dagli sviluppi imprevedibili e, comunque vada, non ne usciremo benissimo.
Ed è abbastanza umiliante ammettere che, per l’ennesima volta, dopo millenni di batoste, ma anche di progresso tecnologico e civiltà, un piccolo insetto riesce ancora a metterci sotto scacco. E ha più follower di noi.
Per approfondire:
Rogers S.M. (2014) The Neurobiology of a Transformation from Asocial to Social Life During Swarm Formation in Desert Locusts. In: Decety J., Christen Y. (eds) New Frontiers in Social Neuroscience. Research and Perspectives in Neurosciences, vol 21. Springer, Cham
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